Il tesoro degli arabi, i cammelli e la ragazza
Ognuno ha il proprio concetto di tesoro, e anche ogni cultura. Per l’uomo occidentale è un numero in un conto. Per gli arabi, di sicuro per i bambini, ma anche per tanti uomini, il tesoro si trova in un forziere. E questa è una cosa magica, non puerile, anzi magnifica, perché è ancora legata al sogno.
L’arabo infatti, almeno i venditori che ho conosciuto, tendono a voler diventare ricchi subito, col gran colpo, e diffidano del lavoro certosino e organizzato perchè non li farà mai veramente felici, perché la loro idea di ricchezza almeno a livello ancestrale è ancora legata a un baule che apri, e resti con la bocca aperta, e con l’argento che contiene che ti illumina il viso. Diventare ricchi per i mercanti arabi è sempre un diventare ricchi subito, di colpo, senza aver fatto fatica, perché si è più furbi e si è fatto un grande affare, comunque sia qualcosa di rilegato a una dimensione mitica. E qui sta il bello, come se nella cultura araba il sogno fosse mantenuto intatto.
E poi c’è la “presentazione” del tesoro, che per gli arabi è importante come il tesoro stesso. E quindi la teatralità, la scenografia per stupire chi entra, nei negozi o nelle abitazioni. L’accumulo di ricchezza ma in senso cinematografico. Spade, gioielli, monili. La ricchezza lì è ancora legata ad oggetti. E sta nascosta in meravigliosi contenitori, ed è fatta ancora di cose che si toccano e che quando ci si immerge le mani fanno rumore. Loro del resto avevano i sultani.
Ma tutto questo discorso è solo per dire una cosa romantica, un lunghissimo giro di parole per dire che una volta ho visto una ragazza bella così, che quando la guardi ti illumina la faccia come quando apri un forziere, e quando la vedi, la prima volta, resti a bocca aperta. E che mi piacerebbe portarla nel deserto, un giorno, quasi rapendola, al chiaro di luna come una regina. E mi piacerebbe portarcela coi cammelli, per far vedere agli arabi la mia ricchezza.